E’ un’atmosfera domestica quella che si respira al Grand Palais di Parigi. Il caminetto è accesso sullo sfondo, in quello stile barocco che da sempre contraddistingue le case d’epoca parigine, sormontato da un enorme specchio ovale in oro; tutt’intorno domina il bianco ottico, nelle pareti, nel pavimento illuminato dai raggi naturali del sole, che a tempi incontrollabili irrompono sulla scena riflettendosi sulle rifiniture degli abiti. E’ questa l’atmosfera che circonda la sfilata di Chanel: un po’ di barocco, un po’ di Le Corbusier, fanno della donna di Lagerfeld una dama moderna, vestita in abiti del bianco candido siderale e minerale (come ama definirlo Karl) con rifiniture dorate barocche, ma scompigliate nei capelli come le punk dei borghi cittadini. Le forme sono trapezoidali e danno risalto alle spalle e alla vita, le rifiniture curate nei dettagli, preziose come solo l’alta moda riesce a dettare, le gonne a ruota; non manca nemmeno l’immancabile tweed nei colori del grigio e del rosso, sempre arricchiti di paillettes e cristalli. Non da meno sono i tocchi di modernità: sandali flats dai lacci in raso ai piedi, cappelli dalle visiere rovesciate in teste.
E se Karl incentra tutta la sua collezione su questo contrasto, Raf Simons, direttore creativo di Christian Dior, decide di ripercorrere tutta la storia del costume perché sa benissimo che non esiste presente senza passato, che non può esserci innovazione senza tradizione. E così la sfilata si apre con le ampie gonne dell’800, maestose e mastodontiche nelle loro impalcature di tulle, che a poco poco vanno accorciandosi e restringendosi fino a raggiungere la forma della plissé soleil, la massima architettura raggiunta dalla maison. Non mancano nemmeno le giacche, in particolar modo le mostrine dei cavaliere che con l’avanzare dei decenni si tramutano sino a raggiungere le sembianze della tuta degli astronauti. E di questa tuta vediamo conservarsi i colori dell’argento, del bianco e del metallo, il tutto incorniciato da un background di fiori e tulle.